Sé reale e sé ideale

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Il concetto di sé si può considerare la struttura centrale della personalità, che racchiude le componenti che permettono di autodefinirsi: ciò che si pensa di sé, l’immagine di se stesso che l’individuo si forma in relazione alle esperienze vissute e alle interazioni con gli altri.

Ognuno ha un’immagine della persona che crede di essere, questa immagine in parte riflette come si è visti dagli altri, il “sé specchio” o sé riflesso di Cooley, secondo cui il sé viene sovente plasmato dal confronto con gli altri, anche se il nucleo centrale del sé è principalmente una costruzione propria, frutto del pensiero riflessivo e della capacità rappresentativa.

Il sé inizia a strutturarsi già durante l’infanzia e il suo sviluppo è collegato alle relazioni con il mondo esterno, in quanto l’immagine che il bambino sviluppa di sé deriva da quello che gli “altri significativi” gli trasmettono attraverso la comunicazione verbale e non verbale.

Il sé quindi, anche se è una creazione individuale, dipende dalla relazione con l’Altro ed è dinamico, in quanto viene continuamente modificato dal continuo processo di auto osservazione ed influenzato dalle esperienze di vita.

Lo psicologo Carl Rogers, negli anni cinquanta, partendo dall’idea che vi sia una forza di base che muove l’organismo a realizzare tutte le possibilità del sé, conia i concetti di sé reale e sé ideale. Il sé reale è costituito dalle idee, dalle concezioni e dai valori della persona e il sé ideale è quello che piacerebbe essere.

Il sé reale rappresenta ciò che si è raggiunto grazie alle proprie forze e che si può raggiungere, mentre il se ideale racchiude tutto quello che si vorrebbe realizzare, ma che non si è sicuri di riuscirci.

Da bambini, quando ci chiedevano cosa avremmo voluto fare da grande, aspiravamo tutti a lavori di prestigio e importanti spesso poco realistici, avendo, come è giusto che sia, una prolifera immaginazione e una scarsa consapevolezza delle reali risorse.

Crescendo l’immaginazione diminuisce, aumenta la consapevolezza e si auspica di arrivare all’incontro tra aspettative e realtà, dove il sé ideale (ciò che vogliamo essere) deve essere la spinta a fare sempre meglio, con la consapevolezza di dove si può arrivare.

Quando tra l’immagine di sé e il sé ideale vi è una discreta sovrapposizione, si prova una sensazione di autorealizzazione, sentendosi appagati per quello che si fa, mentre quando il divario tra i due sé è significativo, la persona percepisce conflitti e insoddisfazioni.

Il sé ideale è senz’altro uno stimolo di crescita e contribuisce a guidare la costruzione di obiettivi futuri. Tuttavia se non è accompagnato da una buona consapevolezza di dove si po’ arrivare, rischia di generare emozioni negative perché distante da un piano di realtà.

Quando i progetti di vita sono irreali , vi è un sé ideale “gonfiato” che provoca nei soggetti dei vissuti caratterizzati da tristezza per non riuscire a realizzare le proprie aspettative, che spesso sono dei sogni con pochissima aderenza alla realtà. Maggiore è la discrepanza tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, minore risulta la stima di se stessi.

Importante è ritornare ad avere aspirazioni “possibili” permettendo l’incontro tra il sé ideale con il sé reale per potersi guardare quasi stessa altezza ed essere soddisfatti per dove sono arrivati.